Regolite lunare: la sfida del suolo extraterrestre per le future missioni spaziali

immagine con terreno lunare e crateri in evidenza

Il suolo lunare, o regolite, è una sfida chiave per le missioni spaziali. La sua composizione influisce sulla progettazione di attrezzature e tecnologie. Oggi, laboratori specializzati replicano questo materiale per supportare le future esplorazioni lunari e marziane

Quando il 20 luglio 1969 Neil Armstrong scese dal Lunar Excursion Module (LEM) dell’Apollo 11 diventando il primo uomo a toccare il suolo lunare, non fece compiere un grande balzo solo a tutta l’umanità, ma lo compì, fisicamente, egli stesso, perché dovette letteralmente saltare giù dalla scaletta che…era troppo corta! Gli ingegneri dell’Apollo avevano forse sbagliato i calcoli? In un certo senso. Ma il loro era stato un errore del tutto lecito perché una delle tante incognite di quella prima missione era proprio il suolo lunare. Nessuno sapeva, realmente, come sarebbe stato mettere piede sulla Luna. Si riteneva che la sua superficie fosse coperta da uno strato di polvere ma non si sapeva molto di più. Come era fatta? Quanto era spessa? Avrebbe sostenuto il peso del LEM? Qualcuno si preoccupò addirittura che potesse prendere fuoco all’atterraggio, mentre qualcun altro ipotizzò che lo strato di polvere fosse così spesso che il modulo lunare con gli astronauti a bordo avrebbe cominciato ad affondare come nelle sabbie mobili. E invece Armstrong dovette saltare giù dalla scaletta proprio perché il LEM non era affondato abbastanza da permettergli di mettere semplicemente il piede a terra.

La questione o per meglio dire, il mistero del suolo lunare era così importante per la NASA che i progettisti della missione avevano stabilito che il primo compito di Armstrong, una volta sceso dal LEM, sarebbe stato quello di raccogliere subito un campione, il primo a portata di mano, e metterlo in un’apposita borsa di stoffa attaccata alla tuta spaziale ed etichettata Lunar Sample Return.

In questo modo, se anche gli astronauti avessero avuto bisogno di fuggire immediatamente, almeno avrebbero riportato sulla Terra qualcosa da analizzare che si sarebbe potuto rivelare cruciale per le future missioni. Le cose, fortunatamente, andarono diversamente e le sei missioni Apollo che tra il 1969 e il 1972 andarono e tornarono dalla Luna, riportarono sulla Terra 380 chili di rocce e suolo lunare. Può sembrare molto ma, in realtà, è fin troppo poco per tutte le necessità della ricerca in vista del ritorno sulla Luna con le future missioni Artemis. Ingegneri, biologi, botanici, chimici e altri gruppi di ricerca che lavorano su progetti lunari hanno, infatti, un enorme bisogno di campioni di suolo su cui testare le attrezzature e condurre i loro esperimenti. È per questo che quel materiale è prezioso quanto un tesoro e come tale viene gelosamente custodito dalla NASA che lo concede solo in casi particolari. Ed è per questo che in più parti del mondo si stanno moltiplicando i tentativi di riprodurre quella polvere e quei materiali. Li chiamano ‘simulanti’ di suolo lunare e possono valere una fortuna, ad oggi anche più di 140 euro al chilo. E ne servono tonnellate.

Il valore è così alto perché qui, sulla Terra, è praticamente impossibile trovare o replicare un materiale che abbia la stessa composizione e le stesse proprietà fisiche, chimiche e meccaniche della regolite lunare, quello strato di materiale costituito da una miscela di piccoli frammenti rocciosi (principalmente basalto di origine vulcanica), minerali, polvere e minuscole particelle di vetro create dall’impatto di meteoriti.

E invece, è proprio dalle caratteristiche della regolite che può dipendere il successo o il fallimento delle prossime missioni verso la Luna e poi Marte, perché l’elettronica, i veicoli e le tute spaziali dovranno essere in grado di resistere all’ostilità degli ambienti extraterrestri, garantendo la sopravvivenza degli astronauti. Ma conoscere meglio la regolite è fondamentale anche per un altro motivo: perché potrebbe rivelarsi una risorsa fondamentale da cui ricavare ossigeno, materiali da costruzione o come suolo da coltivare, per garantire il cibo alle future missioni e basi lunari. E questa sarebbe un’alternativa sicuramente molto più economica ed auspicabile rispetto a quella, costosissima, di doversi portare tutto da casa.

Astronauta sul suolo lunare
L’astronauta e scienziato Harrison H. Schmitt, preleva campioni di suolo lunare durante la prima attività extraveicolare dell’Apollo 17 nel sito di allunaggio Taurus-Littrow. Foto scattata l’11 dicembre 1972 dal comandante della missione Eugene Cernan. È utilizzato il rastrello lunare, uno strumento geologico manuale per raccogliere campioni di rocce e frammenti di dimensioni variabili da 1,3 a 2,5 centimetri
Credits: NASA - https://science.nasa.gov/moon/missions/

Al momento, però, la regolite è soprattutto una sfida, come aveva previsto Harrison Schmitt, geologo e astronauta dell’Apollo 17, quando disse che “la polvere sarà il problema ambientale per le missioni future, sia all’interno che all’esterno degli habitat”.

La polvere lunare, infatti, è composta da granuli finissimi, dai bordi frastagliati e taglienti, che si sono formati in milioni di anni di impatti di meteoriti che hanno ripetutamente schiacciato e fuso le rocce con il calore, formando minuscoli frammenti vetrosi e minerali vari. Sulla Terra ci sono agenti atmosferici come il vento o l’acqua che tendono ad arrotondare e smussare le particelle, ma sulla Luna non c’è niente del genere e l’unico agente meccanico è costituito dagli impatti delle meteoriti che creano altre particelle.

Per giunta, queste trasportano anche una minuscola carica elettrostatica che le fa aderire praticamente a qualsiasi superficie, con il rischio di danneggiare parti meccaniche ed elettroniche delicate, per cui le cose che funzionano sulla Terra potrebbero non funzionare bene sulla Luna o guastarsi velocemente. Così, gli ingegneri del Johnson Space Center della Nasa stanno sviluppando nuovi rivestimenti per impedire alla polvere lunare di attaccarsi elettrostaticamente alle tute spaziali e ai veicoli e stanno progettando strumenti geologici da impiegare sulla Luna e filtri speciali per purificare l’aria nei veicoli spaziali e negli habitat artificiali. Ma per portare avanti tutte queste ricerche servono grandi quantità di simulanti di suolo lunare, addirittura tonnellate, come quelle prodotte da Exolith Lab per testare il rover Viper della Nasa che dovrà cercare acqua al polo Sud della Luna. Exolith Lab con base a Orlando, in Florida, è uno dei principali produttori di simulanti lunari al mondo ed è una struttura gestita dal Florida Space Institute che sviluppa e caratterizza anche simulanti di suolo marziano e degli asteroidi. Dalla sua fondazione nel 2017 ha già prodotto più di 80 tonnellate di finto suolo extraterrestre, ma non è certo l’unico soggetto a tentare di riprodurre quanto più fedelmente possibile la polvere di Luna.

Campioni di polvere di luna
Campioni di simulante di suolo lunare prodotto dall’ESA, EAC-1
Credits: ESA - https://www.esa.int/ESA_Multimedia/Images/2018/10/EAC-1_simulant

Un altro grande attore a livello internazionale è l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) che ha in programma di produrre ben 900 tonnellate di un proprio simulante di regolite (chiamato EAC-1) sviluppato dai suoi ricercatori grazie alla polvere prodotta dalle eruzioni di circa 45 milioni di anni fa, trovata nella regione vulcanica dell’Eifel, nella Germania occidentale.

L’intenzione dell’Europa di spingere sull’acceleratore in questo settore della ricerca è testimoniata dall’inaugurazione, il 25 settembre scorso a Colonia, di LUNA, l’ambiente di simulazione lunare che servirà a preparare astronauti, scienziati, ingegneri ed esperti di missione a vivere e lavorare sulla Luna, oltre che a testare nuovi dispositivi e tecnologie.

La struttura (che sarà gestita congiuntamente dall’ESA e dall’Agenzia aerospaziale tedesca DLR) sorge nei pressi dello European Astronaut Centre (EAC) di Colonia e si sviluppa su un’area di 700 metri quadrati. Al suo interno, grazie alle famose 900 tonnellate di simulante a base di grani e rocce vulcaniche derivate dal basalto, si intende replicare la superficie lunare, creando un ambiente di prova unico. Un’apposita zona dove lo spessore del simulante è maggiore consentirà addirittura la perforazione e il campionamento fino a tre metri di profondità sotto la superficie, simulando anche le difficoltà del suolo lunare congelato. Il tutto mentre un simulatore del Sole riprodurrà i cicli diurni e notturni sulla Luna, comprese le difficili condizioni di illuminazione delle regioni polari. Anche l’Italia è sempre più coinvolta nella sfida a simulare ambienti extraterrestri. Lo scorso dicembre, infatti, l’Agenzia Spaziale Italiana e ALTEC (il centro di eccellenza italiano per la fornitura di servizi di ingegneria e logistica a supporto della Stazione Spaziale Internazionale) hanno firmato un contratto da 3,5 milioni di euro per progettare e realizzare in 36 mesi, nella Città dell’Aerospazio di Torino, un Centro di Simulazione e Controllo Missioni Robotiche Lunari che affiancherà quello già operativo, sempre in ALTEC, del Rover Operation Control Center (ROCC), dedicato alle operazioni e simulazioni marziane. Dal nuovo centro sarà possibile guidare i robot che esploreranno il suolo lunare, un’attività fondamentale per la (ri)conquista della Luna che, a sua volta, è un passaggio preliminare nella più ampia strategia di conquista del pianeta rosso, identificata a livello mondiale nel progetto Moon to Mars.

Illustrazione dell'ambiente di simulazione lunare dell’ESA a Colonia
L’ambiente di simulazione lunare dell’ESA a Colonia, LUNA
Credits: ESA

Alla fine, da qualunque lato lo si guardi, ricreare e simulare sulla Terra ambienti, condizioni e materiali lunari o marziani, è uno sforzo senza precedenti. Si tratta, infatti, non solo di replicare, ma addirittura ampliare quanto si riuscì a fare negli anni ’60 con le missioni Apollo che produssero risultati enormi dal punto di vista scientifico ma anche importantissime ricadute per l’economia, in termini di sviluppo di nuove metodologie, tecnologie innovative e centinaia di brevetti di cui ancora oggi si godono i benefici. Ecco perché, se lo sforzo è senza precedenti, la posta in gioco è altissima. Altro che un pugno di sabbia, sia pure lunare.

 

Storia della produzione della regolite artificiale

Nel corso degli anni i tentativi di produrre suolo lunare artificiale sono stati numerosi. Tra i primi simulanti ad essere sviluppati c’è il cosiddetto Minnesota Lunar Simulant 1 (MLS-1), prodotto dall’Università del Minnesota nel 1988 a partire dal basalto trovato in una cava a Duluth, nel Minnesota. I ricercatori, infatti, avevano scoperto una somiglianza tra la composizione chimica delle rocce terrestri con quella del suolo raccolto nell’angolo di Mare della Tranquillità visitato dagli astronauti dell’Apollo 11.
La prima vera domanda di simulanti lunari, però, arriva dopo l’annuncio del 1989 del presidente George H.W. Bush della Space Exploration Initiative (SEI), il cui obiettivo era di riportare gli esseri umani sulla Luna e poi su Marte. Nasce, così, JSC-1, un simulante di regolite lunare simile ai campioni riportati a Terra dalla missione Apollo 14. JSC-1 fu sviluppato presso il Johnson Space Center a metà degli anni ’90, usando la cenere basaltica ricca di vetro trovata sul fianco sud del cratere Merriam, vicino a Flagstaff in Arizona. Il Johnson Space Center ne produsse circa 20 tonnellate ma la cancellazione del programma SEI fece crollare la domanda di simulanti lunari.
Nel 2005 è la volta del presidente Bush figlio di annunciare la Vision for Space Exploration (VSE), un nuovo programma per tornare sulla Luna come banco di prova per le future missioni su Marte. Si rinnova così l’interesse per il suolo lunare, che si concretizza in una serie di simulanti di suolo degli altopiani lunari chiamati NU-LHT, realizzati con rocce provenienti dalla miniera di Stillwater nel Montana. Ma, nel 2010, la storia si ripete e anche il VSE viene accantonato.
L’interesse per i simulanti lunari scema di nuovo fino al 2017 e alla nascita del programma Artemis. Questa volta, però, ci sono due differenze: prima di tutto la domanda di simulanti del suolo lunare è più diversificata per riprodurre meglio le condizioni che gli astronauti potrebbero incontrare al polo Sud della Luna e, in secondo luogo, scendono in campo i privati, tra i quali proprio l’Exolith Lab che nasce in Florida nello stesso anno, il 2017.

 

Credits copertina: James Stuby based on NASA image, CC0, via Wikimedia Commons


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