Hera vola a caccia dell’asteroide, per studiare come proteggerci dall’Armageddon

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La sonda dell’Agenzia spaziale europea è decollata dalla Florida per raggiungere Dimorphos, colpito due anni fa dalla sonda Dart

È decollata Hera, la sonda europea che ora si è messa all’inseguimento dell’asteroide sul quale l’umanità sta sperimentando un sistema di difesa planetaria per evitarci, un giorno, di fare la fine che fecero i dinosauri. Come spesso amano dire quelli del settore, “i dinosauri non avevano un’agenzia spaziale”. In effetti, è la prima volta che la nostra specie ha la tecnologia per studiare e mettere alla prova uno scudo spaziale contro un’eventuale minaccia dallo spazio profondo. Una cometa o un’asteroide che sia, non si può improvvisare.

Due anni fa (settembre 2022), la Nasa ha inviato un proiettile, la sonda Dart, per colpire un piccolo asteroide, Dimorphos, grande su per giù come la piramide di Cheope a Giza, e che è, a sua volta, il satellite di un asteroide un po’ più massiccio: Didymos. La coppia orbita piuttosto vicino alla Terra, ma non tanto da essere considerata un pericolo. La sonda dell’Agenzia spaziale europea lanciata oggi da Cape Canaveral, in testa a un Falcon 9 di SpaceX, ora insegue proprio Didymos e Dimorphos per studiare da vicino gli effetti dell’impatto, li raggiungerà tra due anni, a 195 milioni di chilometri dalla Terra.

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Rappresentazione della sonda Hera in orbita attorno alla coppia di asteroidi Didymos e Dimorphos - Credits: Esa

Come un esperimento scientifico

Quando, nel settembre 2022, Dart ha colpito Dimorphos, è riuscita a modificare la sua orbita attorno a Didymos di ben 34 minuti, lo si è visto dalle immagini radar con i telescopi terrestri. Il sistema quindi funziona, sappiamo come fare per deviare un asteroide in collisione col nostro Pianeta. Ma non basta: “Noi trasformeremo questo esperimento in una tecnica di deviazione vera e propria che si può applicare ad altri oggetti - spiega Ian Carnelli dell’Esa, progam manager della missione - I nostri modelli non sono ancora affidabili, dobbiamo aggiustarli. Lo faremo con i preziosi dati di Hera”. All’equazione, insomma, mancano alcuni parametri che la sonda andrà a misurare. Molto da vicino.

La parte nota riguarda, ovviamente, il proiettile che ha colpito Dimorphos: velocità, massa, angolo d’impatto di Dart. Ma bisogna conoscere bene anche il bersaglio. Al suo arrivo, alla fine del 2026, Hera inizierà a scandagliare la superficie del piccolo asteroide e per sei mesi non lo perderà di vista. È un corpo celeste scelto non a caso, la sua orbita attorno a Didymos è una garanzia che, dopo averlo colpito, non è stato deviato in una traiettoria pericolosa per la Terra.

Didymos spiega Carnelli, è particolarmente rappresentativo degli asteroidi cosiddetti “potenzialmente pericolosi”, come dimensioni e caratteristiche

Di quelli che non mettono a rischio un’intera civiltà, ma possono fare molti danni a livello regionale e nazionale. E se un giorno dovesse presentarsi minaccioso un colosso in grado di innescare una estinzione di massa, basterà, si fa per dire, calibrare bene il colpo.

Hera inizierà con sorvoli a una distanza di 18-20 chilometri, per poi avvicinarsi e manovrare in maniera automatica grazie alle camere guidate da un software di riconoscimento delle caratteristiche sulla superficie e al sistema di propulsione made in Italy, fornito da Avio. Il team dell’Esa che la guida ha grande esperienza in questo tipo di approcci, dato che è lo stesso che ha guidato la sonda Rosetta in orbita attorno alla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko ormai oltre dieci anni fa. E poi, il team di sviluppatori dell’Agenzia spaziale europea ha messo a punto il software derivandolo da quello allo studio per la discesa sulla superficie lunare.

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Raffigurazione della sonda Hera e dell'asteroide Dimorphos - Credits: Esa

Anatomia di Dimorphos

A gennaio 2027, dopo una crociera di oltre due anni, nel campo visivo di Hera campeggeranno dunque l’asteroide Didymos e la sua luna che gli gira attorno. Una suite di strumenti saranno i suoi sensi, accesi e attivi per riportare un “gemello digitale” di Dimorphos più accurato possibile. Della sua superficie, della sua composizione e, per la prima volta, come una tomografia, persino della sua parte interna. Al progetto hanno lavorato 100 aziende da 18 Paesi europei più il Giappone per costruire la sonda e fornirle i suoi sofisticati strumenti di indagine. Dalle camere in luce visibile e infrarossi, per portare le immagini più dettagliate e a distanza ravvicinata, della superficie e delle proprietà termiche, al sensore iperspettrale per analizzare la composizione della superficie e dei materiali che l’impatto di Dart potrebbe aver esposto dal sottosuolo.

Una tra le prime cose da cercare, infatti, sarà proprio il cratere che Dart dovrebbe aver creato. E, in generale, studiare la forma di Dimorphos. L’impatto potrebbe aver generato “addirittura una specie di piccola esplosione, e una ricomposizione cambiando completamente la morfologia” aggiunge Carnelli. Gli effetti dello scontro sono infatti il metro di giudizio per sapere quanto efficace è stato il colpo e quanto potrà esserlo su asteroidi con altre dimensioni. Ci sarà una camera, strumento italiano, fornita da Tsd-Space con ottiche Optec Spa, per inquadrare il deck che ospita gli strumenti e, in particolare, le finestre di lancio dei due cubesat.

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La sonda Hera e i suoi due cubesat, Milani e Juventas, in orbita attorno alla coppia di asteroidi Didymos e Dimorphos - Credis: Esa

I piccoli aiutanti di Hera
Hera non viaggia da sola. A bordo ospita due cubesat, grandi più o meno come una scatola da scarpe, che aiuteranno la sonda a indagare ancora più a fondo. Verranno rilasciati alcune settimane dopo l’arrivo a destinazione e resteranno in contatto con la sonda madre con un link radar, per trasmettere dati e posizione a terra. Milani (battezzato in onore dell'astrofisico professore di Meccanica Orbitale all’Università di Pisa nonché scienziato di fama internazionale e ideatore della missione dell’Esa Don Quijote, la cui eredità viene oggi raccolta da Hera, scomparso sei anni fa) è la mini sonda italiana, costruita dalla torinese Tyvak, ha a bordo una camera iperspettrale di fattura finlandese per caratterizzare la superficie. E l’unico strumento in situ della missione, cioè l’unico che entrerà in contatto con la materia dei due corpi celesti: Vista, si tratta di un sensore che raccoglierà le polveri rilasciate da Didymos e Dimorphos e ne analizzerà la composizione. Gli strumenti di Milani, compresa la camera di navigazione, sono sviluppati e operati da Cnr, Inaf e Politecnico di Milano.

Juventas è l’altro cubesat, che con le sue antenne radar farà una specie di tomografia di Dimorphos a caccia di pieni e vuoti. Volumi che “in caso di impatto ad alta velocità si possono immaginare come airbag” esemplifica Carnelli. Infine misurerà la gravità del piccolo asteroide posandosi sul suo suolo. Entrambi i mini satelliti, una volta conclusa la missione, si poseranno sulla superficie di Didymos e Dimorphos, e così farà Hera, che come Rosetta accompagnerà il piccolo mondo che del quale ci avrà svelato i segreti, in giro per il Sistema solare.
 

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Raffigurazione del cubesat italiano Milani, della missione Hera, con gli asteroidi Didymmos e Dimorphos - Credtis: Esa

Il contributo italiano
A capo del consorzio di aziende che hanno costruito la sonda c’è Ohb, con un importante contributo da parte del nostro Paese grazie al coordinamento dell’Agenzia spaziale italiana. L’Italia ha fornito tanta tecnologia preziosa per far funzionare tutto quanto. Così distante dal Sole, oltre l’orbita di Marte, Hera sarà raggiunta da appena il 17 per cento dell’energia solare rispetto a un satellite in orbita terrestre. I grandi pannelli solari (lunghi entrambi cinque metri , per una superficie totale di 14 metri quadrati, con 1.600 celle) sono forniti da Leonardo. Daranno alla sonda l’energia che le serve, e che in fondo non è molta, “800 watt, all’incirca la potenza di un forno a microonde” fa notare l’Esa. Thales Alenia Space Italia ha fornito il sistema di comunicazione, l’unità di condizionamento e di distribuzione dell’energia.

 

Credits Copertina: SpaceX

 

 


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