Lo Spazio e le favole: non solo mondi di fantasia
Lo Spazio agli occhi di un bambino non è vuoto, non è silenzioso, non è buio, non fa paura.
Ne è la prova lo sguardo, leggero e allo stesso tempo profondo, assunto dai piccoli esploratori, protagonisti della narrativa d’infanzia.
Anche noi lettori, stando lassù con loro, abbiamo guardato la vita da un’altra prospettiva, vissuto quella sensazione che da lì tutto sia migliore o - se non altro - più facilmente migliorabile rispetto alla Terra. I bambini sono arrivati sullo Spazio facendolo divenire un luogo per raccontare e far fiorire mondi altri che, talvolta, celano riflessi simili al nostro. Per loro, questo, è un luogo giocoso, di crescita, di scoperta, di viaggio ed esplorazione (si, anche per i bambini!), dove poter incontrare cose note e ignote, che risultano però diverse allo sguardo grigio della normalità. Lo Spazio è così lontano eppure così vicino da poterlo raggiungere con la sola fantasia.
“Ai bambini di oggi, astronauti di domani” è la dedica di Gianni Rodari presente ne “Il pianeta degli alberi di Natale” la cui prima parte venne pubblicata sul quotidiano Paese Sera il 26 dicembre del 1959. Protagonista è un bambino, Marco Milani, e il suo è un viaggio di una sola notte: un’andata e ritorno con partenza da Roma, dal balcone di una casa a Testaccio in sella a un cavallo a dondolo. Un regalo di compleanno ricevuto dal nonno al posto di un modello d’aeroplano col motore a scoppio; un mezzo artigianale con la stessa potenza - in cavalli vapore - di una navicella spaziale.
Lo Spazio è un luogo solidale, così grande che accoglie tutti e dove tutti possono essere esploratori, arrivandovi con qualunque mezzo. Lì regna l’uguaglianza e la verità. Sempre Rodari in “Favole al telefono” (Einaudi, 1962) scriverà di un “Pianeta della verità” con la “macchina che contiene tutte le bugie del mondo”. E ancora si legge su un cartello affisso ne “il Pianeta degli alberi di Natale”: “Se vi è rimasta una bugia da dire ditela oggi, perché da domani è vietato mentire”.
Come illustra Pietro Greco, in un suo articolo: “I pianeti sono i luoghi dove vivranno gli uomini di domani, cittadini dell’universo” (“Marte, il pianeta saggio di Gianni Rodari” in Il Bo Live). E in questa dimensione interplanetaria, dove l’avvenirismo si mescola a principi educativi, etici e morali, sembra che lì possa esistere un nuovo modo di vivere insieme e di costruire una società migliore.
Nel realismo magico dello scrittore di Omegna, a partire dagli anni Cinquanta è evidente l’intenzione di cogliere la profondità del nuovo. “È questa la nuova realtà: epica e insieme tragica” ha scritto Pietro Greco sul numero di Civiltà delle Macchine dedicato allo Spazio (“Rodari, lo scrittore per gli astronauti bambini”, pg. 46-49, CdM 1/2020). Laboratori scientifici, razzi, navicelle, cucine spaziali e astronauti, in Rodari la tecnologia è accessibile a tutti, senza alcuna distinzione: qui i robot sono collaborativi ed esaudiscono i desideri dell’umanità.
Nello Spazio l’assenza di gravità è compensata dall’amicizia, dal gioco di squadra, dalla solidarietà tra gli esseri. “Il Piccolo Principe”, capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry ne è l’esempio assoluto. Qui lo Spazio è sì di scoperta - “Sapevo benissimo che, oltre ai pianeti come la Terra, Giove, Marte, Venere ai quali si è dato un nome, ce ne sono centinaia ancora che sono a volte così piccoli che si arriva sì e no a vederli col telescopio” - ma è anche luogo di riflessione. “Ogni giorno scoprivo qualcosa sul pianeta […] Saltava fuori tra una riflessione e l’altra” dirà l’aviatore. Sette saranno, infatti, i pianeti da esplorare popolati ciascuno da esseri simboleggianti le categorie umane: il re, il vanitoso, il bevitore, l’uomo d’affari, il lampionaio e il geografo.
Lo Spazio in questa storia lo si potrebbe immaginare quasi come una delle immense tele di Ettore Spalletti, un orizzonte infinito color pastello in cui orbitano immaginari pianeti, i luoghi delle epifanie dell’animo umano.
C’è poi la Terra, “da una certa distanza, il tutto faceva un bellissimo effetto” dirà l’aviatore e lì si ritroveranno “centoundici re, settemila geografi, novecentomila uomini d’affari, sette milioni e mezzo di ubriaconi e trecentoundici milioni di vanitosi”. Lo Spazio è il luogo dove l’umanità si osserva e si riconosce, nelle sue imprese come nelle sue sconfitte, materiali e immateriali, morali e immorali. Cosa ci insegnano allora questi bambini sullo Spazio? Che forse possiamo essere tutti astronauti o forse, in parte, dovremmo solo riscoprirci come tali.
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