12.08.2024 Romualdo Gianoli

Sulla luna a caccia di particelle elementari: il progetto futuristico

Illustrazione di un acceleratore di particelle costruito all'interno del suolo lunare

Il Large Hadron Collider è il più grande acceleratore del mondo grazie al quale è stato trovato il bosone di Higgs. Ma per svelare i misteri irrisolti dell'Universo servono acceleratori molto più grandi e potenti e qualcuno sta pensando di costruirne uno sulla Luna

I fisici sono convinti che per comprendere come funziona l’universo si debba dare la caccia alle particelle elementari che lo compongono e che ancora ci sfuggono. Per questo sono stati costruiti gli acceleratori di particelle come l’LHC, il Large Hadron Collider dove hadron è l’adrone, una particella elementare soggetta alla cosiddetta interazione forte, una delle quattro interazioni fondamentali (assieme a quella elettromagnetica, gravitazionale e debole) responsabili a livello microscopico di tutti i fenomeni fisici osservati. L’LHC è il più grande acceleratore del mondo, una straordinaria opera ingegneristica e scientifica dell’era moderna grazie alla quale è stato trovato il bosone di Higgs, la cosiddetta ‘particella di Dio’, una tessera fondamentale nel grande puzzle dell’universo. Eppure, non basta perché per svelare i misteri ancora irrisolti servono acceleratori molto più grandi e potenti. E qualcuno sta pensando di costruirne uno sulla Luna.

Cosa sono e a cosa servono gli acceleratori di particelle

Gli acceleratori di particelle sono macchine estremamente complesse che, grazie a fortissimi campi magnetici, riescono ad accelerare fasci di particelle cariche elettricamente fino a velocità prossime a quella della luce, facendole poi scontrare tra loro (per questo in inglese si chiamano collider, ‘collisori’). 

L’energia delle collisioni può creare nuove particelle come il bosone di Higgs che è importantissimo perché fornisce la massa alle altre particelle elementari.

Gli acceleratori possono essere lineari o circolari, cioè svilupparsi lungo un percorso rettilineo o circolare. In quest’ultimo caso la struttura permette alle particelle di essere accelerate più volte ad ogni giro. L’LHC è circolare, è gestito dal Consiglio europeo per la ricerca nucleare (Cern) e ha portato a risultati straordinari come, appunto, l’individuazione nel 2012 del bosone di Higgs, fino ad allora previsto solo teoricamente. Tuttavia, già si sta pensando a una macchina ancora più grande e potente: il Future Circular Collider (FCC) che dovrebbe avere una circonferenza di ben 91 chilometri, costare l’enorme cifra di circa 14 miliardi di euro e sorgere a 200 metri di profondità (gli acceleratori vengono costruiti sottoterra per proteggerli dalle radiazioni cosmiche, per avere maggiore stabilità strutturale e per isolarli dalle vibrazioni provenienti dalla superficie che potrebbero compromettere la precisione degli esperimenti). I tempi di realizzazione dell’FCC sono molto lunghi dato che si ipotizza l’inizio della costruzione non prima degli anni 2030 e l’entrata in funzione dei diversi esperimenti che lo comporranno, tra il 2040 e il 2070. È chiaro, però, che la chiave per progredire nello studio delle particelle elementari sta negli acceleratori sempre più grandi e potenti. Su questo punto il fisico James Beacham ha un’idea decisamente radicale: realizzare un acceleratore con una circonferenza di ben 11.000 km ed energie pari a mille volte quelle del Large Hadron Collider. Il punto è che vorrebbe costruirlo sulla Luna.

Un’idea visionaria

James Beacham è un fisico delle particelle affiliato alla Duke University e impegnato nelle ricerche all’LHC. Nel 2022, assieme al collega Frank Zimmermann, Beacham ha teorizzato la possibilità di realizzare un grande acceleratore di particelle sulla Luna, pubblicando la sua teoria sulla rivista New Journal of Physics. Secondo Beacham, infatti, “la fisica ha ancora un gran numero di misteri da risolvere e in passato, di solito, si è cercato di farlo scoprendo nuove particelle e nuove forze. Alcune delle particelle che stiamo cercando forse esistevano in abbondanza solo subito dopo il Big Bang, 13,8 miliardi di anni fa e quindi, per scoprirle, abbiamo bisogno di acceleratori ad alta energia, anche più dell’LHC.

Un acceleratore circolare di 11.000 km sulla Luna permetterebbe di raggiungere energie di collisione mille volte quelle dell’LHC, aprendo un potenziale di scoperta senza precedenti”.

Beacham chiama questo dispositivo Circular Collider Moon (CCM). Ma quali difficoltà bisognerebbe superare per realizzare un simile impianto? Per farcene un’idea cominciamo con il riassumere per grosse linee come è fatto l’LHC qui, sulla Terra.

Un’impresa colossale

L’LHC si trova nei pressi di Ginevra, al confine tra Francia e Svizzera, è stato completato nel 2008 ed è costato quasi 4,5 miliardi di euro. È costituito da un grande anello di quasi 27 chilometri di circonferenza realizzato un centinaio di metri sottoterra, costellato di magneti superconduttori e da una serie di strutture che forniscono energia e accelerano le particelle. 

Acceleratore di particelle LHC all'intero di un tunnel, Cern di Ginevra
Sezione in 3D del Large Hadron Collider, acceleratore di particelle all'interno del Cern di Ginevra 
Credits: Dominguez, Daniel - CERN

I fasci di particelle (che viaggiano in direzioni opposte lungo due tubi separati tenuti a vuoto ultra-alto) sono spinti e guidati lungo il percorso da fortissimi campi magnetici prodotti da elettromagneti ‘superconduttori’. Si tratta di uno stato particolare della materia che consente all’elettricità di circolare in bobine di speciale cavo elettrico senza quasi incontrare resistenza e in modo molto efficiente, quasi senza perdite di energia. Per raggiungere questa condizione, però, è necessario tenere i magneti a temperatura bassissima, ‐271,3°C, addirittura inferiore a quella dello spazio esterno, un risultato che si ottiene con un complesso sistema di raffreddamento a elio liquido. Nell’LHC vi sono 1232 magneti (lunghi 15 metri) che guidano i fasci di particelle lungo l’anello e altri 392 (lunghi 5-7 metri) che hanno il compito di concentrarli. Un altro tipo ancora di magnete interviene alla fine per ‘strizzare’ ulteriormente i fasci di particelle, così da aumentare le possibilità di collisione che, quando avviene, costituisce un risultato incredibile.

Per fare un paragone, è come sparare due aghi a 10 chilometri di distanza con una precisione tale da farli scontrare a metà strada. E adesso proviamo a immaginare tutto questo sulla Luna. Sembra impossibile ma per Beacham, invece, è realizzabile, a patto di avere la volontà politica di farlo e un ampio orizzonte temporale.

Uno sforzo collettivo che guarda al futuro

Gli scienziati dovranno prima di tutto cercare di capire quali materiali sono disponibili sulla Luna e cosa invece si dovrà portare dalla Terra. Perché uno dei punti cruciali è l’altissimo costo per portare strumentazione e materiali da costruzione nello spazio

La NASA stima che per ogni chilogrammo di carico utile inviato in orbita terrestre occorrano circa 1500 dollari, per non parlare dell’orbita lunare. Tenendo conto che le macchine da perforazione, da sole, possono pesare oltre 1.200 tonnellate, si fa presto a fare qualche conto.

Un aiuto potrebbe venire dalla possibilità di usare magneti superconduttori ad ‘alta temperatura’ (cioè che necessitano di essere raffreddati ‘solo’ fino a -173° Celsius) e che, magari, potrebbero essere realizzati in loco con materie prime estratte sulla Luna. Ci sono poi da considerare le dimensioni dell’acceleratore. Secondo gli scienziati non è necessario che l’anello avvolga la parte più ampia del nostro satellite, perché si può prendere in considerazione la circonferenza di uno sferoide in qualsiasi punto della Luna e vi sono grandi percorsi circolari possibili che evitano anche l’ulteriore problema di dover cambiare l’altitudine della struttura. C’è poi il problema delle temperature. Sulla Luna c’è una forte escursione termica tra il giorno e la notte, mentre l’acceleratore deve essere mantenuto a temperatura controllata perché i magneti superconduttori possano funzionare. Per questo Beacham propone di realizzare il CCM in un tunnel scavato un centinaio di metri sotto la superficie lunare. In questo modo richiederebbe ancora un certo raffreddamento, ma non tanto quanto quello necessario se fosse in superficie. Un acceleratore va poi alimentato in qualche modo. Per funzionare, si stima che il CCM avrà bisogno di decine di terawatt di energia (un terawatt è pari a mille miliardi di watt), un valore prossimo a quello che l’intera umanità usa ogni giorno, circa 15 terawatt. Per risolvere il problema gli scienziati suggeriscono di utilizzare una ‘superstruttura’ spaziale in grado di raccogliere l’energia direttamente dal Sole: insomma pensano a una Sfera di Dyson. L’ultimo aspetto da prendere in considerazione è quello di chi dovrà controllare il CCM e studiare i dati prodotti. Anche per questo Beacham ha una soluzione: come per l’LHC dove la maggior parte delle persone lavorano da remoto grazie ai dati che ricevono, anche per il CCM il lavoro potrebbe essere svolto in gran parte a distanza, restando sulla Terra. Si tratta solo di capire quale sia il modo migliore per trasmettere grandi quantità di dati dalla Luna.

Nonostante l’ottimismo, Beacham ritiene che sia quasi impossibile stimare con precisione quando il CCM potrebbe diventare realtà. “In linea di principio - ricorda - la maggior parte delle tecnologie esistono già, ma devono essere migliorate, il che richiederà decenni. Ma sembra inevitabile che gli esseri umani tornino sulla Luna per stabilire una presenza permanente, principalmente a scopo scientifico e non commerciale. Quindi, quando pensiamo di tornare sulla Luna, dovremmo pensare a grandi progetti scientifici collaborativi, finalizzati al bene pubblico. Se il progresso nei viaggi spaziali, nelle macchine da perforazione lunare e nell’energia solare continueranno al ritmo attuale, è ragionevole pensare che un CCM possa iniziare ad essere costruito entro gli anni 2070 o 2080 (se non più tardi) e iniziare a lavorare forse nel 22° secolo”.

 

Credits copertina: Runway AI