04.07.2024 Giancristiano Desiderio

Discorso sul metodo

quadro astratto colori viola

Il moderno è un metodo. Ha anche una data di nascita, convenzionale ma ce l’ha: 1637 allorché Cartesio pubblica a Leida il “Discorso sul metodo per ben condurre la propria ragione e cercare la verità nelle scienze”

L’idea, chiara e distinta, è semplice e può funzionare (infatti, funzionò): finora gli uomini, anzi, i filosofi hanno mal usato la testa; si tratta di metterla un po’ a posto e usarla al meglio. L’idea, però, di emendare o aggiustare o rischiarare la testa non è solo di Cartesio e si ritrova in Machiavelli, Bacone, Spinoza, Locke e altri. In tutti i moderni ricorre il convincimento di non costruire castellucci in aria e di star con i piedi per terra con un nuovo organo di conoscenza da cui vengon fuori, nell’ordine, l’individuo, lo Stato, il mercato, la tecnica e nel giro di un secolo e mezzo, dal 1543 (anno in cui vien pubblicato il “De revolutionibus orbium coelestium” di Copernico) al 1687 (anno in cui vien pubblicato i “Principi matematici della filosofia naturale” di Newton) passando per il “cimento” di Galilei, nasce la scienza moderna. 

E cos’è la sperimentale scienza moderna? L’applicazione del metodo a cui nulla sembra resistere, né il cielo stellato sopra di me, né la legge morale dentro di me. La bottega rinascimentale divenne gabinetto scientifico, l’alchimia si tramutò in chimica, l’astrologia si fece astronomia e poi il resto sembrò venir da sé con i lumi sparsi dei philosophes, la Rivoluzione a Parigi e lo spirito del mondo a cavallo a Jena, l’ascesa della borghesia che cambiò l’Europa e la maliziosa ingenuità di Marx che pensò di cambiare la borghesia rimpiazzandola con il proletariato. Ma in questo caso non funzionò. Il metodo era sbagliato, metteva insieme cose disparate.

Ma il metodo come funziona, cosa c’è alla sua base che lo rende utile e ancor oggi necessario? Ci sono i saperi. Due. Il sapere empirico e il sapere logico.

Il primo si basa sull’osservazione o sull’informazione e risponde a domande elementari di cui facciamo uso ogni giorno quando usciamo di casa (ma anche dentro casa sul divano): piove? Dove si trovano i canguri? Che ha fatto la Juventus? È facile rispondere e nel caso non si sapesse dove si trovano i canguri o i panda ci si rivolge a chi lo sa o a un “motore di ricerca”. Il secondo tipo di sapere è più complicato e risponde a domande che possono essere difficili: come si dimostra il teorema di Pitagora o come funziona il computer con cui scrivo o come procede la signora IA – intelligenza artificiale – o come si elegge il presidente della Repubblica? Sono tutte domande che fanno appello a un sapere logico-deduttivo o logico-matematico o logico-metodico con cui la razionalità umana viene isolata, resa autonoma fino a diventare automatica e perfino trasformata sino a creare una razionalità disumana.

Ma non è il caso di esagerare. È più utile considerare che quello che chiamiamo “progresso” altro non è che la capacità di rispondere a più domande possibili del primo e del secondo tipo: più risposte ci sono, più aumenta il sapere, più avanza il progresso. È il vanto dell’Occidente e lo chiamiamo progresso tecnico-scientifico e si basa sull’accumulo di dati e sull’applicazione del metodo con cui ne sappiamo più di Pitagora, meno di un computer e ci rivolgiamo alla signora IA la quale, però, non ci garantisce che l’uso del metodo sia sufficiente a eleggere il presidente e, soprattutto, un buon presidente.

Se il moderno è il metodo, la modernità è l’idea che il metodo sia utile non solo per rispondere alle domande del primo e del secondo tipo ma anche alle domande più scivolose del terzo tipo che suonano strane: che devo fare? Esiste Dio? Cos’è la bellezza? E la parola? E la natura? L’amore? Cos’è la giustizia? Chi sei? Chi sono? Cos’è il bene? E – per darci un taglio e proporre la domanda più importante di tutte – come devo vivere? In un tempo indietro nel tempo si è pensato che l’applicazione del metodo in quest’altro terreno di gioco, oltre che in quello fisico-naturale, potesse mettere le cose in ordine: e nacque il positivismo e poi il neopositivismo e poi nuovi neo e altre rinascite fino a giungere a ieri e a oggi in cui ancora si ritiene che si possa usare il sapere delle domande del secondo tipo per rispondere alle domande del terzo tipo. È un’illusione. I filosofi, diceva un filosofo come Wittgenstein, hanno sempre davanti agli occhi il metodo della scienza, e hanno l’irresistibile tentazione di porre domande, e di rispondere alle domande nello stesso modo in cui lo fa la scienza. Questa tendenza, che è la più forte del nostro tempo ed è quasi diventata un’abitudine mentale comune o una magia o una superstizione, è la reale fonte della metafisica e dello scientismo, e porta non solo il filosofo e, soprattutto, il sociologo (ma anche il giudice, il politico, il professore) nell’oscurità completa, ma anche il resto dell’umanità a cozzare contro sé stessa e a chiedere cose o inesistenti o impossibili. 

La modernità era l’idea di poter ricomporre la condizione umana su un ordine della razionalità tutta dispiegata capace di rispondere alle domande vitali e storiche del terzo tipo. Che è esattamente ciò che non si può fare perché sono domande che non chiedono una e una sola risposta come quelle empiriche e quelle logiche ma più risposte e perfino in conflitto tra loro. Sono le domande più importanti perché fondano il pluralismo, cioè la nostra cultura della libertà, e con il loro sapere storico extrametodico, riescono persino a giustificare e a contenere ossia limitare il necessario metodo che, altrimenti, sarebbe inutile.