Educazione dei giovani nell'era digitale: intervista a Matteo Lancini

gruppo di studenti a scuola utilizzano pc per i compiti

Lo psicologo e psichiatra evidenza il rapporto tra giovani e tecnologia con un approccio realistico alla vita digitale, facendo luce sulle contraddizioni degli adulti nella gestione della connettività

Vietare l'uso di smartphone ai più giovani per proteggerli da rischi emotivi e sociali: è questo uno dei temi più dibattuti negli ultimi mesi. 

I pareri tra gli addetti ai lavori sono contrastanti. Alcuni sono fermamente convinti della proposta mentre altri ritengono si possa trovare una soluzione nell’educare i ragazzi, orientandoli alla "vita onlife".

La pensa così anche il Professor Matteo Lancini, psicologo e psichiatra, Presidente della fondazione Minotauro.

Professore, cosa pensa della proposta di limitare l’utilizzo di internet e social ai più giovani?

“Questa è l’ennesima dimostrazione della dissociazione e delle contraddizioni degli adulti di oggi che hanno una fragilità senza precedenti e che non vogliono rinunciare a nulla. Queste richieste non si basano su ricerche accreditate dato che non esistono ricerche scientifiche serie che dimostrano la correlazione tra l’ansia e la depressione dei ragazzi e l’uso di internet, smartphone o social. Questa è solo un’ipotesi non accertata. E poi bisogna notare che sono proprio le persone che vivono e usano costantemente internet a firmare petizioni sul negarlo ai ragazzi. Si lanciano appelli proprio sui social per evitare l’uso dei social. Paradossale.”

Dunque, l’uso dei social e di internet e più in generale l’uso della tecnologia nella scuola non va demonizzato?

“Parlare di uso della tecnologia non ha del tutto senso: si usa lo strumento, in questo caso lo smartphone e se ne possono fare impieghi differenti, ma parlare di uso della tecnologia non è corretto. Perché internet non è più solo vita virtuale. Quando ho iniziato a studiare internet c’era una differenza tra vita reale e vita virtuale, ma oggi siamo passati a una società che vive onlife, come l’ha definita Baricco nel libro The Game o il più grande filosofo della scienza che è Luciano Floridi. Ormai tutto noi viviamo onlife: 24 ore al giorno siamo iperconnessi in un mondo dove è cambiata la politica, l’economia, l’editoria. È dissociante quindi togliere la connessione ai ragazzi nel momento in cui vanno a scuola, ovvero nel luogo più importante dove dovrebbero crescere e costruirsi un’identità. Detto in altre parole: la società e i genitori lasciano usare internet ai bambini e ai ragazzi perché è uno strumento di “controllo” e una comodità (registro elettronico, geolocalizzazione e altro), ma al tempo stesso, proprio nel momento più importante della formazione della loro vita onlife, gli viene vietato.”

Quale potrebbe essere una strategia per favorire un rapporto equilibrato e positivo tra giovani e questa vita onlife, a suo avviso?

“Bisognerebbe decidere se vogliamo andare avanti in questa società oppure tornare indietro: se ci sembra esagerata, bisogna vietare i social fino agli ottant’anni di età, chiudere tutti i gruppi whatsapp dei genitori, delle scuole, vietare qualsiasi tipo di utilizzo della tecnologia, compreso il registro elettronico a insegnanti e genitori. Siccome non succederà perché nessuno vuole rinunciare a niente in questa società, che mette al centro l’adulto e non i ragazzi, allora bisogna insegnare loro a vivere in internet. Quindi quello che bisogna fare è di evitare quello che è già successo, ovvero che i ragazzi vadano in internet perché lì si sentono meno soli di quanto non si sentano a casa o a scuola ogni giorno. Si è creata una società in cui non si possono esprimere le emozioni, dove i giovani devono rispondere alle aspettative di genitori e insegnanti senza poter essere se’ stessi. Il tema è se davvero siamo in grado di capire che questa società l’abbiamo creata noi e la stiamo alimentando noi ogni giorno.”

Credits Copertina: Envato.com by Media_photos

 

 


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