30.10.2024 Nicolò Andreula

L’intuito, un ritorno

casa anni 60

Nel film “Thirteen Days”, Bruce Greenwood, nelle vesti di John F. Kennedy, si trova di fronte all’imminenza di un conflitto nucleare con la Russia.

Deve scegliere tra un’azione bellica o una soluzione diplomatica. Diffidente verso i vertici militari sin dai tempi in cui era sottotenente nel Pacifico meridionale durante la seconda guerra mondiale, il presidente decide di optare per il dialogo anziché per l’attacco preventivo suggerito dai suoi consiglieri. Non sa se la scelta si rivelerà giusta, ma decide comunque di prenderla seguendo il suo intuito. L’intelligenza intuitiva è quella capacità innata che permette di percepire verità e soluzioni senza passare attraverso il filtro della ragione. È libera dai vincoli della logica e si manifesta spontaneamente negli intervalli in cui la mente è più rilassata.

Questa facoltà ha accompagnato l’essere umano lungo tutto il suo percorso evolutivo, guidandolo nelle decisioni cruciali per la sopravvivenza: dalla selezione degli alimenti commestibili all’individuazione dei predatori, fino alla scelta dei rifugi sicuri e delle persone fidate. Ha avuto un ruolo determinante anche nella medicina e nella scienza, consentendo agli inventori di cogliere i fenomeni alla base di scoperte rivoluzionarie e ai medici di interpretare i sintomi e somministrare i giusti rimedi. Tuttavia, il progresso che l’intuizione ha contribuito a generare è diventato l’artefice della sua emarginazione. Con l’avanzare delle tecnologie, questa intelligenza primordiale è stata relegata in secondo piano, considerata un retaggio di un passato che la modernità ha bollato come primitivo e superato. 

Gli anni Sessanta – quelli di Kennedy – sono gli ultimi in cui il sesto senso svolge un ruolo attivo nel processo decisionale.

L’avvento di Arpanet, precursore di Internet nel 1969, il lancio dei primi microprocessori da parte di Intel nel 1971, e lo sviluppo dei linguaggi di programmazione a seguire, sanciscono la supremazia della logica sull’istinto e aprono un varco nell’abilità di gestire informazioni e compiere calcoli che superano di gran lunga le potenzialità della coscienza umana.

Le persone, incarnando sempre più lo spirito di homo oeconomicus, sfruttano il potere computazionale e la capacità predittiva delle macchine per esercitare il controllo della situazione, agire razionalmente e selezionare l’opzione che massimizzi il proprio benessere. Contemporaneamente l’intuito, un tempo parte integrante della vita quotidiana, diventa improvvisamente un tabù, un indicatore di mancanza di direzione, una manifestazione di vulnerabilità e debolezza.

 

pietre rosse

La relativa ascesa della ragione sull’istinto, però, non tiene conto del periodo in cui ciò sta avvenendo. La stabilità del pensiero logico è minacciata dall’evoluzione delle variabili su cui esso si basa: più complessi sono gli input, maggiore sarà il tempo necessario per elaborarli, minore la reattività del cervello e la padronanza del contesto.

In un’epoca in cui crescono sia il numero di informazioni che l’urgenza di rispondere agli stimoli esterni, esitare potrebbe rivelarsi fatale. Le fondamenta di cristallo su cui si erge la società postmoderna cominciano a vacillare. 

L’uomo, che seguendo i precetti di Pico della Mirandola ha abbandonato gli istinti e i desideri più bassi per elevarsi a divino, inizia a sentire il calore del sole sulle ali di cera: Icaro sta per cadere.

Poiché la creazione di dati richiede meno sforzo rispetto alla loro interpretazione, il flusso di informazioni disponibile cresce più rapidamente rispetto alla nostra capacità di processarlo – in media, una persona consuma 74 GB di dati al giorno, un quantitativo i cui tempi di elaborazione da parte di un individuo il cui intelletto è sopra la media superano i cinquecento anni. Tornando all’equazione precedente, questa sovrabbondanza di informazioni, unita all’incapacità di gestirle tempestivamente, aumenta la complessità degli scenari possibili, rendendo il mondo più opaco e inasprendo la frammentazione dell’esperienza umana.

Il World Uncertainty Index del Fondo monetario internazionale – una misura trimestrale dell’incertezza economica e politica globale che copre 143 paesi – rileva che il grado d’incertezza percepito negli ultimi dieci anni è del 50% superiore alla media storica (1996-2010). Occorre osservare che tale incremento non è assoluto ma relativo. Il mondo non è più imprevedibile di quanto non lo fosse nei decenni e secoli passati, ma lo è rispetto alle aspettative di controllo della società. Nel Novecento si è creduto di poter dominare il mondo; oggi la consapevolezza che esso si stia complicando a un ritmo superiore alle capacità di comprensione genera angoscia.

uomo con candela in faccia

Lo psicologo americano Barry Schwartz formalizza questo stato di disagio nel “paradosso della scelta”: un’insoddisfazione personale che l’uomo sperimenta quando è chiamato a valutare un numero eccessivo di opzioni in un tempo limitato. La pretesa di conoscere la risposta si scontra con l’incapacità di giungere a una conclusione oggettivamente corretta, portando così a una “paralisi da eccesso di libertà”.

Al di fuori del mondo accademico, questo stato di malessere derivante da una dicotomia tra le possibilità insite nella natura umana e la frenesia tecnologica non ha una definizione universalmente riconosciuta. Di conseguenza si manifesta nel reale attraverso fenomeni distinti e tenuti insieme da un minimo comune denominatore: una risposta irrazionale alle scelte esistenziali.

Di fronte a un’infinità di percorsi accademici e opportunità lavorative, filosofi e di vita come la YOLO economy – You Only Live Once – spingono i loro adepti a perseguire ciò che realmente desiderano, adottando un’apparente anestesia verso il domani e verso i dettami della società. Parallelamente, il fenomeno della vita lenta, di cui l’Italia è archetipo e promotrice inconsapevole, esorta a rallentare, a distaccarsi dalla tecnologia, e a vivere nel presente.

Continuando, CEO e dirigenti di alto profilo, interfacciandosi con una molteplicità di scelte e con l’imperativo morale di essere costantemente connessi, abbandonano l’illusione del multitasking e abbracciano pratiche come la meditazione e la mindfulness – discipline che promettono di migliorare la consapevolezza e l’intuizione personale, facilitando decisioni più in sintonia con il proprio io interiore.

Infine, di fronte allo sviluppo di modelli predittivi sempre più sofisticati, le nuove generazioni rivolgono lo sguardo al metafisico, invertendo, almeno in parte, quel processo di disincantamento del mondo teorizzato da Weber. Se un tempo il rifugio era nelle religioni, oggi ci si rivolge a strumenti come i tarocchi e la lettura delle carte per cercare risposte sul futuro e orientare le scelte quotidiane – le vendite di mazzi di tarocchi sono raddoppiate tra il 2017 e il 2021, e l’hashtag #tarot ha superato le 6 miliardi di visualizzazioni.

Indipendentemente dalla fattibilità su scala globale o dalla validità scientifica di tali tendenze, esse rappresentano i primi segnali di una società che inizia a rifiutare la logica a ogni costo, riscoprendo una nuova serenità nell’incertezza e nell’accettazione dell’impossibilità di conoscere tutto e di fare sempre la scelta oggettivamente migliore. In questo rinnovato contesto, il riconoscimento dell’intelligenza intuitiva potrebbe venire in supporto dell’uomo aiutandolo in quelle situazioni in cui il tempo richiesto per un’elaborazione razionale è troppo elevato rispetto all’urgenza e all’impatto delle decisioni stesse.

Studi condotti dalla Federation of Associations in Behavioral and Brain Sciences (FABBS) dimostrano che l’intelligenza intuitiva è particolarmente efficace proprio in quelle situazioni critiche, dove l’eccesso di dati e la difficoltà nel gestirli rendono vantaggioso ricorrere a un’elaborazione inconscia delle informazioni.

In un futuro prossimo, occorrerà rivalutare il potere dell’istinto non come antitesi della razionalità, ma come complemento nella ricerca di verità e decisioni migliori. Questa riscoperta potrebbe rappresentare un passo decisivo verso la riconquista di un equilibrio profondo tra l’uomo e la tecnica, tra il desiderio di progresso e la consapevolezza della propria natura.

 

 


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