16.10.2024 Romualdo Gianoli

Il destino dei ghiacci polari: la corsa per bloccare la fusione dell'Artico e dell'Antartide

Iceberg nelle acque artiche

La rapida fusione dei ghiacci polari, minaccia innalzamenti del mare e sconvolgimenti climatici. Soluzioni come l'uso di pompe alimentate da energia rinnovabile per rigenerare i ghiacci presentano sfide economiche e tecnologiche, con molte incertezze sugli effetti futuri

“Il tempo sta per scadere per l’Artico. La regione continua a riscaldarsi a due o tre volte il tasso globale e gli scienziati prevedono che potremmo vedere il ghiaccio estivo artico scomparire già nel 2042”.

Così iniziava un articolo del Guardian del 2020 sulle conseguenze del riscaldamento globale. Oggi la situazione è talmente peggiorata che gli esperti ritengono che, senza un intervento esterno, l’Oceano Artico potrebbe ritrovarsi senza ghiacci estivi non più entro il 2042, ma addirittura entro l’estate del 2030, con conseguenze devastanti per tutto il pianeta. In pratica, in appena 4 anni, ci siamo mangiati 12 anni di ghiacci. Come a dire che il tempo, per l’Artico, è agli sgoccioli. E non va meglio per l’altra regione polare, quella Antartica. Uno studio condotto sul grande ghiacciaio Thwaites in Antartide durato ben 6 anni si è da poco concluso con una cupa prospettiva sul suo futuro. Con dimensioni paragonabili alla Gran Bretagna o alla Florida e spesso soprannominato il ‘ghiacciaio del giorno del giudizio’, il collasso di questa enorme massa di ghiaccio basterebbe ad aumentare il livello dei mari di 65 centimetri. Peggio ancora, un tale evento potrebbe innescare una perdita più diffusa della calotta glaciale che copre l’Antartide occidentale, causando un catastrofico innalzamento del livello del mare di 3,3 metri che minaccerebbe città come New York, Calcutta e Shanghai. Ma, per ora, occupiamoci di un problema alla volta e torniamo all’Artico perché è lì che c’è bisogno di un intervento più immediato e dove le cose vanno peggio. Sì ma quanto peggio?

Secondo il WWF il livello del ghiaccio marino artico è diminuito di circa il 13% ogni 10 anni negli ultimi decenni a causa dell'aumento delle emissioni globali e il ghiaccio più vecchio e più spesso dell’Artico è quello che ha subito l’effetto maggiore, con uno sbalorditivo meno 95% rispetto agli anni ’80.

Diciamo pure che la situazione è talmente peggiorata negli ultimi tempi che si sta facendo sempre più strada l’ipotesi che, se anche si riducessero drasticamente e immediatamente le emissioni di gas climalteranti, non riusciremmo a impedire la perdita di tutto il ghiaccio estivo dell’Artico entro il prossimo decennio. Almeno questo è quanto sostengono gli autori di una ricerca pubblicata l’anno scorso su Nature, secondo i quali il 90% della fusione dei ghiacci è stata provocata dal riscaldamento globale causato dall’uomo.

E qui è utile fermarci un attimo per chiarire una questione di terminologia che può sembrare una sottigliezza ma che, invece, aiuta a comprendere meglio la natura dei fenomeni fisici con cui abbiamo a che fare, evitando di incorrere in un errore molto comune: i ghiacci non si sciolgono ma fondono. Sono due cose diverse. Lo scioglimento, infatti, è un fenomeno chimico che implica la presenza di due sostanze che formano una soluzione quando una (il soluto) viene aggiunta all’altra (il solvente). Un esempio è il sale sciolto nell’acqua di cottura della pasta. La fusione, invece, è un processo fisico che interviene quando una sostanza passa dallo stato solido a quello liquido a temperatura costante. Nel caso dei ghiacciai, questo passaggio avviene grazie all’energia che l’ambiente trasferisce al ghiaccio sotto forma di calore che viene detto latente perché lascia la temperatura costante. Alla fine, il ghiaccio cambia stato passando da solido a liquido ma la sua composizione chimica non cambia: acqua era e acqua resta, al contrario di quando si scioglie il sale nell’acqua, ottenendo una soluzione.

Ora possiamo tornare a concentrarci sulle (devastanti) conseguenze che la rapida fusione dei ghiacci artici può avere su tutto il pianeta. Senza ghiacci l’Artico perderà il suo potere di ‘frigorifero globale’ e regolatore della temperatura.

Soprattutto, le estati senza ghiaccio creeranno un ciclo auto-rinforzante perché la calotta glaciale non sarà più in grado di riflettere l’energia del sole (effetto albedo) come faceva prima mentre l’oceano, più scuro, assorbirà la maggior parte del calore, accelerando ulteriormente l'aumento della temperatura del Mar Artico e quindi il ritmo della fusione del ghiaccio restante.

Questa amplificazione della fusione ha molte conseguenze devastanti, tra le quali un ulteriore riscaldamento globale, il potenziale rilascio di grandi quantità di metano ora intrappolate in fondo al mare, lo scioglimento accelerato della calotta glaciale della Groenlandia con l’innalzamento del livello dei mari, la perdita di molti habitat (e quindi di biodiversità) e un’estremizzazione dei fenomeni climatici, con estati sempre più calde e inverni sempre più freddi. Quest’ultimo, un fenomeno che stiamo già sperimentando da qualche anno. Ma allora, se neanche tagliare drasticamente e repentinamente le emissioni di gas serra può bastare a frenare la fusione dei ghiacci, come lo risolviamo questo problema?

Le idee e le teorie (anche piuttosto esotiche) non mancano, ma tutte hanno in comune le difficoltà economiche e tecnologiche di realizzare interventi su grandi scale, l’incertezza del risultato finale e l’incognita sugli effetti (anche nocivi) che potrebbero avere questi rimedi. Per fare un esempio del tipo di soluzioni proposte, un’ipotesi è quella di erigere nelle zone ghiacciate dei mari enormi cortine (tende o muri) subacquee per impedire all’acqua più calda che circola in profondità di lambire la base delle piattaforme di ghiaccio. L’idea si basa sul fatto che negli oceani polari, c’è acqua dolce più fredda in superficie sotto la quale scorre acqua salata e più calda. Quest’acqua rappresenta una grande minaccia per i ghiacci perché ne provoca la fusione della base. Dunque, se si riuscisse a bloccare questo flusso d’acqua più calda, si ridurrebbe anche il tasso di fusione dei ghiacci. Questo in linea di principio, ma nella pratica ancora non si sa come costruire queste cortine (forse utilizzando robot subacquei), di quale materiale dovrebbero essere fatte, come dovrebbero essere protette dagli agenti naturali e, viceversa, come si potrebbe impedire che interferiscano con i vari ecosistemi locali.

Un altro possibile metodo per salvare i ghiacciai deriva da uno dei modi in cui essi perdono ghiaccio. Il meccanismo è abbastanza semplice: quando un’enorme massa di ghiaccio si trova su un letto di roccia, la grande pressione che esercita provoca la formazione di un sottile strato d'acqua all’interfaccia tra roccia e ghiaccio, che aiuta il ghiacciaio a scivolare verso il mare. L’attrito generato da questo movimento produce calore a cui si somma quello dovuto all’aumento delle temperature di aria e acqua per i cambiamenti climatici, causando l’ulteriore fusione di un po’ di ghiaccio. Il risultato è che i ghiacciai si muovono più velocemente e, quindi, si sciolgono più rapidamente. Secondo Michael Wolovick, glaciologo dell’Università di Princeton e altri scienziati, per contrastare questo fenomeno si potrebbero praticare dei fori nel letto roccioso per drenare l’acqua dalla base dei ghiacciai. Rimuovendo questa lubrificazione si aiuterebbe a mantenere i ghiacciai in posizione, dandogli il tempo di rafforzarsi e solidificarsi. Tuttavia, il problema è sempre quello di mettere in pratica queste idee di principio. Ad esempio, per il ghiacciaio di Pine Island nell’Antartide, quello che si sta riducendo più velocemente, si valuta la necessità di realizzare un sistema di drenaggio dell’acqua costituito da una serie di tunnel larghi 5 metri che partendo dalla vicina catena montuosa dell’Hudson, si dovrebbero estendere quasi orizzontalmente nella roccia per circa 80 chilometri fino al mare.

Mare con distesa di ghiaccio
L’acqua di mare viene pompata sulla neve che copre il ghiaccio marino nel tentativo di produrre nuovo ghiaccio
Credits: Real Ice www.realice.eco

Nell’ Artico i ricercatori di due società, l’olandese Artic Reflections e la britannica Real Ice, stanno invece già sperimentando un altro sistema per tentare di salvare i ghiacci esistenti e scongiurare il grave pericolo che scompaiono nelle prossime estati. Anche in questo caso il principio è semplice: si tratta di prendere acqua dal mare e pomparla sopra il ghiaccio. A causa della bassa temperatura dell’atmosfera artica quest’acqua si congelerà rapidamente durante l’inverno, irrobustendo e ispessendo i ghiacci che così dureranno più a lungo, sopravvivendo ai mesi estivi. Non solo, la capacità del ghiaccio di riflettere una larga parte della radiazione solare contribuirebbe ulteriormente a ridurre il riscaldamento locale dei ghiacci e, quindi, a rallentarne ulteriormente la fusione. Ovviamente occorrono molti studi e sperimentazioni per individuare la tecnologia migliore e, soprattutto, quella più scalabile alle dimensioni del mondo reale. La Artic Reflections, ad esempio, sta sperimentando l’uso di pompe per trasferire l’acqua dal mare alle piattaforme di ghiaccio e sta sviluppando un nuovo concetto che utilizza luoghi specifici intorno all’Oceano Artico in cui creare ghiaccio per poi farlo arrivare nelle acque artiche, sfruttando le correnti oceaniche esistenti. Con questo sistema e con pompe più grandi, i suoi ricercatori pensano che per ripristinare 100.000 chilometri quadrati di ghiaccio persi in estate, potrebbero bastare circa 100-1000 pompe rispetto ai 10 milioni ipotizzati in precedenza. Queste pompe, comunque, andrebbero alimentate e, possibilmente, senza aumentare l’inquinamento. La soluzione proposta prevede l’utilizzo di pompe collegate a boe alimentate dall’energia eolica. L’altra azienda, la Real Ice, segue un approccio diverso, basato sull’utilizzo di droni subacquei (assistiti da satelliti per individuare le aree in cui operare) che dapprima trovano i punti in cui il ghiaccio è più sottile e poi lo perforano per pomparvi sopra acqua di mare che, congelando velocemente, proteggerà dalla fusione il ghiaccio sottostante durante i mesi estivi. Quest’anno, per la prima volta, è stato sperimentato il sistema di pompaggio con droni alimentati con celle a combustibile a idrogeno ‘verde’, cioè prodotto con energia rinnovabile, eolica o solare.

Schema di funzionamento del sistema di rigenerazione dei ghiacci con droni
Schema di funzionamento del sistema di rigenerazione dei ghiacci con droni
Credits: Real Ice www.realice.eco

Per tutte queste soluzioni, però, il problema più ovvio da superare è la scala dimensionale e, quindi, i costi. Le dimensioni dell’area coinvolta (l’Artico) sono tali da far dubitare che queste tecnologie possano essere implementate nella realtà in modo da ottenere risultati significativi. Secondo uno studio del 2016, infatti, il dispiegamento di pompe su un decimo dell’area potrebbe invertire le tendenze attuali di perdita di ghiaccio, ma richiederebbe circa 10 milioni di pompe, ciascuna alimentata da un sistema eolico. Costruire una flotta del genere da schierare nel corso di 10 anni richiederebbe l’uso di circa 10 milioni di tonnellate di acciaio all’anno e, per fare un confronto, gli Stati Uniti all’epoca dello studio ne producevano circa 80 milioni all’anno. Tutto ciò per non parlare, poi, dei costi. Solo l’installazione di questi dispositivi sul 10% dell’Artico in 10 anni richiederebbe circa 50 miliardi di dollari all’anno a cui si dovrebbero aggiungere i costi per la manutenzione in un ambiente estremo come l’Artico. Oltre a tutti questi problemi, infine, bisogna considerare il rischio delle conseguenze non intenzionali, eventualmente negative, che l’applicazione di queste tecnologie potrebbe avere sul clima artico, su quello globale, sull’ambiente artico e sulla fauna di quelle regioni. È necessario, ad esempio, studiare in modo esaustivo (anche con l’aiuto di modelli climatici e simulazioni numeriche) le ripercussioni dell’aumento dei ghiacci artici sulla temperatura globale, sui venti e sulle precipitazioni. E poi, quali conseguenze potrebbe avere tutta quest’acqua salata pompata sulla superficie dei ghiacci? Al momento nessuno lo sa e non è chiaro nemmeno in che modo influenzerebbe la fusione dei ghiacci durante l’estate o la loro resistenza nel tempo.

Come si vede, le domande senza risposta sono molte e c’è ancora tanto da studiare, perché la complessità dei fenomeni e le loro interazioni sono tali che bisogna fare attenzione a non adottare soluzioni che potrebbero essere peggiori del male.

 

Credits copertina: Jean-Christophe André

 


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