06.06.2024 Mauro Morra

James Webb scopre la galassia più antica dell'Universo

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Nuovo record per il telescopio spaziale JWST il più potente mai costruito. In orbita a 1,5 milioni di km dalla Terra, ha registrato un redshift di una galassia pari a 14.3

Il James Webb Telescope noto come "Next Generation Space Telescope” e intitolato all’ex amministratore della NASA, ha aperto nuovi orizzonti per l’astronomia a raggi infrarossi. Lanciato a fine 2021 e in attività dal 2022 a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, ha compiuto una scoperta preziosa per lo studio e la comprensione della nascita dell’Universo.

È riuscito infatti a rilevare due galassie, le più lontane mai registrate, nate meno di 300 milioni di anni dopo il famoso evento della creazione cosmica, il Big Bang.

Le galassie in questione sono state battezzate Jades-Gs-z14-0 e Jades-Gs-z14-1 e, secondo gli scienziati della NASA, avranno profonde ripercussioni sulla conoscenza che abbiamo oggi dell’Universo. Partendo dal fatto che ciò che osserviamo nello Spazio rappresenta l’archeologia cosmica, un passato così remoto risulta di difficile comprensione per la mente umana.

 

grafico sfondo nero che mostra dati con picco

Galaxy JADES-GS-z14-0 Spectrum (NIRSpec). Credits: NASA, ESA, CSA, Joseph Olmsted (STScI)

La luce delle galassie, in particolare quella straordinariamente brillante di Jades-Gs-z14-0, ha impiegato circa 13,5 miliardi di anni per arrivare nella prospettiva del nostro pianeta. Considerando che il Big Bang è avvenuto 13,8 miliardi di anni fa, siamo davvero a pochi istanti dalla grande creazione, paragonabile ai primi due minuti e mezzo di un film di 2 ore.

Il parametro che viene utilizzato per stimare le distanze di questi corpi celesti si chiama redshift. Il fenomeno, così chiamato perché nel visibile produce uno spostamento verso il colore rosso, è conseguenza dell'espansione dell'Universo, a causa della quale tutte le galassie, compresa la nostra, si allontanano le une dalle altre.

Il primo redshift fu descritto dal fisico francese Hippolyte Fizeau nel 1848, il quale mostrò che il cambiamento nelle linee spettrali di alcune stelle fosse dovuto ad un fenomeno fisico chiamato effetto doppler (un cambiamento apparente, rispetto al valore originario, della frequenza o della lunghezza d'onda percepita da un osservatore raggiunto da un'onda emessa da una sorgente in movimento rispetto all'osservatore stesso). Fu infine Edwin Hubble a scoprire una relazione approssimata tra i valori di redshift delle galassie e la distanza tra loro formulando quindi la “Legge di Hubble”: esiste una relazione lineare tra lo spostamento verso il rosso della luce emessa dalle galassie e la loro distanza. Maggiore è la distanza della galassia, maggiore sarà il suo spostamento verso il rosso.

spettro magnetico redshift barra colori

The Electromagnetic Spectrum. Credits: NASA, ESA, CSA, Joseph Olmsted (STScI)

Le galassie Jades-Gs-z14-0 e Jades-Gs-z14-1 hanno rispettivamente redshift 14.3 e 13.9, per intenderci, la galassia Jades-Gs-z13-0, la più lontana fino a qualche mese fa, sempre osservata da Webb, aveva un redshift pari a 13.2.

C’è anche un italiano nel team di scienziati, primo nome dello studio, si tratta di Stefano Carniani, ricercatore presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e membro del team GTO Webb/NIRSpec che studia l'evoluzione delle galassie e dei buchi neri nel tempo cosmico. Carniani conferma quanto sia importante questa scoperta affermando che “mai fino ad ora si era riusciti ad andare tanto in profondità, 300 milioni di anni dopo il Big Bang”.

A bordo del telescopio spaziale Webb tre sono gli strumenti chiave che hanno permesso di osservare così lontano: sono NirCam - Near Infrared Camera (fotocamera a raggi infrarossi installata sul telescopio) insieme a Miri - Mid-Infrared Instrument, (che può produrre sia immagini sia spettri nel medio infrarosso) e lo spettrografo NirSpec - Near-Infrared Spectrograph (che divide la luce infrarossa raccolta dal telescopio), questi ultimi due forniti dall’ESA – Agenzia Spaziale Europea.

In un post sul blog della Nasa dedicato a Webb si racconta di un’alba cosmica che si rivela luccicante, più delle aspettative, “A shining cosmic dawn” – scrivono Carniani insieme ad altri collaboratori.

uomo mostra pc con dati grafici

Stefano Carniani mostra gli spettri delle due galassie protagoniste della scoperta. Credits: S. Carniani. Fonte: Media.INAF

Il ricercatore ha rilasciato anche un’intervista per l’INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica e pubblicata su Media.inaf, in cui racconta qual è la tecnica utilizzata per assegnare una distanza alle galassie.

Si tratta del Lyman-break ovvero una netta discontinuità nello spettro elettromagnetico osservato con i telescopi: la luce emessa dalle stelle a lunghezze d’onda corta viene assorbita dagli atomi di idrogeno neutro presenti nell’universo, mentre la luce a lunghezze d’onda più lunghe non risente di questo effetto e riesce ad arrivare fino a noi. Negli spettri elettromagnetici delle galassie lontane, questo processo si mostra con una forma “a scalino” e la sua posizione in unità di lunghezza d’onda dipende dalla distanza che c’è tra la galassia e l’osservatore. Il Lyman-break ovvero lo “scalino”, appare nei dati di Jades-Gs-z14-0 e Jades-Gs-z14-1 in modo chiaro e ben distinguibile, permettendoci così di misurare la loro distanza dalla Terra con buona accuratezza.

Il ricercatore Stefano Carniani conclude affermando “si pensa che le prime galassie si siano formate tra redshift 20 e 30, ovvero quando l’Universo aveva solo 100-150 milioni di anni. Se si troveranno galassie così distanti e già evolute, bisognerà iniziare a riscrivere i libri universitari di astrofisica e aprire le nostre menti a nuove teorie. Poiché a solo due anni dal lancio di JWST siamo già arrivati a redshift 14.3, fra qualche anno potremo confermare o confutare le basi principali della cosmologia”.

 

Credits Copertina: NASA, ESA, CSA, STScI, Brant Robertson (UC Santa Cruz), Ben Johnson (CfA), Sandro Tacchella (Cambridge), Phill Cargile (CfA)