31.01.2023 Carmine Nardone

Ricominciamo dalla terra

Terra

Oggi le terre del mondo sono aggredite da fenomeni distruttivi di perdita di fertilità e, contemporaneamente, dalla estromissione con violenza dei contadini che per millenni, con il loro lavoro, hanno sfamato l’umanità e garantito l'equilibrio biologico dei territori. Gli effetti dei cambiamenti climatici e dei modelli tecnologici dominanti hanno portato da una parte all’intensificazione dei fenomeni di erosione e desertificazione del suolo, dall’altra ad un generale calo della sua sostanza organica con estese perdite di fertilità. 
Dal 1° gennaio al 15 dicembre 2022 (dati Worldometer) sono stati distrutti 4.279.625 ettari di foresta (ovvero 14.218 ettari al giorno) e l’erosione ha riguardato 5.761.533 di ettari di terra coltivabile (19.141ettari al giorno). La desertificazione del suolo è stata di 9.875.059 ettari (32.808 ettari al giorno). Tutto in un meno di un anno.
Dal 1982 al 2021 in Italia la superficie agraria utilizzata si è ridotta del 20.83% (da 15.833.000 ettari a 12.856.000 ettari) ed in Campania del 27,12 % (da 708.000 ettari a 516.000 ettari). Se si correla l’andamento demografico del mondo (dai 1.6 miliardi nel 1900 a più di 8 miliardi nel 2022) alla crescente perdita di fertilità dei suoli, abbiamo un disastroso calo della terra fertile per abitante del pianeta. Si tratta di fenomeni globali di degrado della terra causato da una miscela di fattori biofisici, tecnologici, socioeconomici e politici, che variano nei diversi Paesi del mondo. Le minacce specifiche del suolo agrario sono in particolare: erosione, salinizzazione, compattazione, impermeabilizzazione, desertificazione, inondazioni e smottamenti, che causano perdita di materia organica e fertilità, contaminazione e calo nella biodiversità del suolo. 
Sia il capitalismo che le economie pianificate non si sono limitate al reddito che la natura può da-re, ma hanno aggredito e distrutto risorse naturali non riproducibili. Le diverse sinistre nel mondo hanno colto con molto ritardo che la contraddizione capitale-natura andava integrata alle lotte del ‘900 sulla contraddizione capitale-lavoro (vedi James O’Connor,1981). La sinistra si è mostrata di scarsa lungimiranza non includendo per tempo nella sua strategia, la contraddizione capitale–natura e non sempre si battuta contro politiche cieche, tese a ottenere benefici immediati scaricandone i costi sulle future generazioni. Ed oggi, se vuole riprendere corpo e forza, sul piano internazionale e locale non può che aggregarsi su un nuovo paradigma (Luigi Panella 2023), capace di introdurre correttivi strutturali al capitalismo, ai suoi effetti disastrosi nel rapporto uomo-natura, ponendosi come alternativa sostanziale ed efficace al populismo e alla tecnocrazia, i gemelli diversi dell’antipolitica. 
È ineluttabile una riconversione globale del modo di produrre e distribuire il cibo. La biosfera che appare localmente illimitata è, in realtà, globalmente limitata e limitabile e il nodo cruciale della contraddizione si pone tra la spinta del mercato verso benefici immediati e i costi che questo comporta in termini di consumo di risorse non riproducibili: tali costi vengono ignorati, sottovalutati e differiti nel tempo. Lo sviluppo di un sistema agro-industriale, fino a oggi basato sulla presunzione di una illimitata disponibilità di energia fossile a basso costo e della non incidenza della distanza tra luoghi di produzione e luoghi del consumo, non è più assolutamente sostenibile. Le multinazionali si accaparrano la terra nei paesi poveri e trasportano il cibo nei paesi ricchi. Nel 2022, secondo i dati tratti da Land Matrix e da rapporti della società civile e di ricercatori, il numero dei contratti conclusi è arrivato a 2.384 per una superficie totale di 93,2 milioni di ettari, pari a Germania e Francia messe assieme. Bill Gates e altri miliardari hanno acquistato enormi quantità di terreni agricoli. Secondo un rapporto Forbes, Gates ora possiede oltre 97 mila ettari. Come è noto con l’espressione “food miles”, si intende non solo la distanza di un alimento dal luogo di produzione a quello in cui è consumato, ma l’entità dell’impatto ambientale del trasporto del cibo che include emissioni di biossido di carbonio, inquinamento dell’aria, traffico, incidenti e rumore. Esiste un chiaro rapporto di causa-effetto fra i food miles e carico inquinante. Naturalmente non è l’unico fattore di insostenibilità, perché l’insostenibilità degli attuali modelli alimentari è una sommatoria di condizioni insostenibili che riguardano congiuntamente produzione, distribuzione e consumo. Per questa ragione è errato discutere su dove agire per primo per costruire un’alternativa: la risposta deve essere una strategia congiunta. Tre contraddizioni da combattere e tre proposte da sostenere per la riconversione ecologica.

La prima

I miliardari, le multinazionali e le agro-mafie hanno scoperto prima della politica l’importanza geopolitica del cibo e la sua specificità di bene a consumo “obbligato” per l’uomo. Questa specificità è vergognosamente usata in maniera dominante dalle élite del capitalismo, dalle destre con-servatrici e da diversi liberismi, come dato di “necessità” per giustificare modelli produttivi/tecnologici insostenibili nella produzione del cibo. Come se fosse inevitabile avvelenare il suolo per produrre il cibo necessario a combattere la fame nel mondo (diserbanti biodistruttori, concimazioni chimiche scriteriate, inquinamento idrico, etc.). 
I dati sull’andamento della mortalità per fame smentiscono clamorosamente i sostenitori di questa tesi. Dal 1° primo vertice mondiale sull’alimentazione della FAO del 1996, ad oggi sono falliti gran parte degli obiettivi di contrasto alla fame nel mondo. Si stima che negli ultimi 30 anni il tasso di mortalità per fame nel mondo abbia oscillato dai 20 mila ai 30mila al giorno e che i morti complessivi per fame siano stati dal 1996 ad oggi dai 220 milioni ai 320 milioni di persone. Ovviamente e anche la comunicazione è funzionale a questi interessi e ignora sistematicamente le soluzioni ecologicamente alternative.


La seconda
La maggiore contraddizione oggi riguarda il conflitto per l’appropriazione, da parte delle multinazionali, del monopolio della biodiversità (base della ricerca genetica) e del controllo delle innova-zioni ecosostenibili nella produzione del cibo (brevetti, royalty ecc.). “L'unica ricchezza rimasta al Terzo Mondo è la biodiversità: i nostri semi, le nostre piante medicinali che ci permettono d'en-trare nel mondo produttivo. Non possiamo tollerare che con i brevetti i giganti alimentari ci tolgano anche questo.” (Vandana Shiva,2002) In altri termini i monopoli sono interessati al profitto ricavabile dalle tecnologie ecosostenibili e non alla loro diffusione su larga scala tra le realtà contadine. La verità è che esiste solo “tecnicamente” una disponibilità crescente di soluzioni per una produzione ecosostenibile del cibo, ma non esiste altrettanta volontà politica per realizzarla. 
La terza
Sconfiggere i cementificatori affermando una cultura che abbia come epicentro il riuso del costruito inutilizzato e delle terre incolte delle aree collinari e di montagna, o in generale delle aree interne. Il ricambio generazionale è una delle questioni strategiche. Secondo il 7°Censimento dell’Agricoltura (ISTAT) i conduttori agricoli in Italia, con più di 75 anni, sono più del 20% del tota-le ed in maggioranza senza ricambio nella conduzione delle aziende. La vittoria politica sulle strategie dei cementificatori, precondizione per una svolta sostenibile, è possibile solo con una grande offensiva dei movimenti dei contadini e dei lavoratori senza terra e delle donne. Esiste una alternativa per l’installazione di energia rinnovabile (fotovoltaico etc.) al consumo di suolo agricolo? La risposta è sì assumendo una cultura del riuso degli spazi dismessi. La proposta: è quella Isole energetiche da localizzare:
A) Cave e miniere esaurite 
B) Aree da bonificare con coperture in amianto
C) Discariche esaurite
D) Aree industriali dismesse
E) Solo sulle infrastrutture rurali (eco magazzini, stalle, tettoie, etc.)

Credits: foto di Shane Mclendon su Unsplash

Insostenibilità dell’agricoltura intensiva 
Un indicatore del livello di scarsa sostenibilità del sistema agro industriale ed in particolare dell’agricoltura intensiva è dato dal rapporto tra energia consumata per preparare l’alimento ed apporto energetico dell’alimento stesso espresso in calorie. L’agricoltura intensiva consuma forti quantitativi di energia fossile per la produzione di prodotti alimentari sia vegetali che animali. Se confrontiamo il rapporto tra unità di energia immessa ed unità di energia ottenuta nel processo agricolo, si arriva mediamente a un rapporto di 1 a 10. In pratica, la produzione di una chilocaloria di cibo richiede 10 chilocalorie di combustibile oltre all’energia necessaria per la trasformazione, conservazione e il trasporto. 
All’inizio del ‘900 tale rapporto, in particolare per l’agricoltura contadina era di 1 a 1. Se si considerano tutti i consumi energetici delle intere filiere, compreso il trasporto, arriviamo a rapporti sconvolgenti, superiori a 100 . Secondo la Relazione Speciale della Corte dei Conti Europea 2021, la PAC finanzia metà delle spese dell’UE per il clima, ma le emissioni prodotte dall’agricoltura non diminuiscono. L’agricoltura intensiva e insostenibile riesce ad intercettare più incentivi pubblici dell’agricoltura eco-sostenibile. 
Si tratta dunque di agire per una riconversione radicale delle finalità degli incentivi pubblici euro-pei e nazionali, correlandoli strettamente sia alla sostituzione del petrolio e gas con energie rinnovabili nella produzione del cibo, sia al sostegno delle adozioni di tecniche energeticamente sostenibili (Agricoltura di precisione 4.0, etc.).


Riconversione delle produzioni di cibo sotto serra
I cambiamenti climatici spingeranno sempre più verso la produzione di cibo in ambienti confinati. Diventa decisivo per questo settore sostituire l’attuale rapporto tra energia da combustibili fossili ed energia alimentare con un nuovo paradigma tra energia rinnovabile e energia alimentare. Attualmente la produzione sotto serra in Italia riguarda circa 40.000 ettari con il 60% localizzata al Sud. Riconversione, dunque, delle produzioni di cibo in ambienti confinati energivori in eco-serre ad emissioni zero di CO2. Il dato che colpisce maggiormente è che, attualmente, l’energia utilizzata è ricavata quasi esclusivamente da combustibili fossili (gasolio, metano, etc.). Ciò comporta non solo l’emissione di CO2, ma anche meno qualità alimentare e costi di produzione decisamente alti. Per questo, una proposta ragionevole, per una “svolta sostenibile” vera, è quella di procedere ad una radicale riconversione tecnologica della produzione in “serra”, orientando tutto il sistema verso l’integrazione virtuosa delle nuove tecnologie (fotovoltaico, eolico, geotermia, recupero delle acque piovane, depurazione delle acque reflue, illuminazione personalizzata alla foto-sintesi, concimazione carbonatica, mezzi agricoli elettrici, etc.). Queste nuove tecnologie consentono inoltre un riuso intelligente dei tanti siti industriali dismessi, trasformabili in vere e proprie bio fabbriche.

Credits: foto di Katrien Van Crombrugghe su Unsplash

Verso diete orientate al benessere
Studi recenti hanno calcolato che le emissioni di CO2 pro capite dovute ai consumi di prodotti di origine animale (carni e prodotti lattiero-caseari) sono circa 2200 kg, mentre quelle relative al consumo di prodotti vegetali (cereali, frutta e verdura) corrispondono a 450 kg. Se si ipotizzano diete alimentari con una riduzione del 30% dei prodotti di origine animale e con un incremento del 15% di quelli di origine vegetale, si potrebbe ottenere una riduzione netta di emissioni di 590 kg di CO2 pro capite per anno. Tale riduzione corrisponderebbe ad una diminuzione complessiva dal 5 al 7% delle emissioni globali pro capite. Sotto questo profilo la dieta mediterranea, che esalta la stagionalità e la territorialità degli alimenti, è in grado di assicurare più benessere personale e più sostenibilità globale, poiché si basa sull’assunzione di frutta e verdura fresche, di una buona quantità di legumi, cereali integrali e patate, e sull’impiego di olio extravergine d’oliva.


Sovranità alimentare: quale?
Nella storia dell’umanità il desiderio di terra dei contadini è stato sempre represso con il sangue. Oggi le terre del mondo sono aggredite da fenomeni distruttivi di fertilità e dall’esproprio con la violenza di quei i contadini che per millenni hanno garantito l'equilibrio biologico dei territori e sfamato con il loro lavoro l’umanità. Si può dire che i cambiamenti climatici e la conseguente corsa all’accaparramento della terra fertile, incrementa nel mondo un nuovo rapporto tra grandi proprietari terrieri, regimi politici di destra e multinazionali, con azioni sempre più violente nei confronti dei contadini senza terra. La proposta del Governo Meloni di introdurre la dicitura “Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare” ha suscitato un dibattito sull’ambiguità di tale “sovranità alimentare”, il cui significato non è stato chiarito neanche nella relazione della Presidente del Consiglio al Parlamento. Sovranità può significare, da una parte politiche agrarie interclassiste con una visione nazionalista e corporativa, dove interessi di multinazionali e conta-dini coinciderebbero (corporazione di settore), occultandone il conflitto globale in atto, o può assumere anche il significato dell’art.15 della dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei conta-dini e delle altre persone che vivono nelle aree rurali: “ I contadini e le altre persone che lavorano in zone rurali hanno il diritto ad un’alimentazione adeguata e hanno il diritto fondamentale di esse-re liberi dalla fame. Ciò include il diritto di produrre alimenti e il diritto ad una nutrizione adeguata, i quali garantiscono la possibilità di godere del grado più elevato di sviluppo fisico, emotivo ed intellettuale” .
La “Dichiarazione sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano la terra” è stata adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 17 dicembre 2018. Dopo 17 anni di battaglie della “Via Campesina” e negoziati l’ONU ha finalmente votato la Carta sui diritti dei contadini e dei lavora-tori in aree rurali (United Nations Declaration on the Rights of Peasants and Other People Working in Rural Areas).

Sei diritti fondamentali sono affermati nella Dichiarazione, che è composta da 28 articoli.
1) livello di vita adeguato, in opposizione alla povertà estrema dominante,
2) Diritto al cibo, con sostegno alla conservazione della biodiversità e alla lotta contro il cambia-mento climatico,
3) Protezione contro l’accaparramento delle terre (land grabbing), adozione di riforme agrarie strutturali,
4) impiego dei propri semi, che i contadini e lavoratori devono poter conservare, utilizzare, scambia-re e vendere,
5) pagamento adeguato di derrate agricole e lavoratori,
6) giustizia sociale (e sindacale), a cui ciascuno deve poter contribuire per superare ogni tipo di discriminazione.
Una riflessione andrebbe fatta anche sulle votazioni: a favore 119 Paesi, astenuti 49, contrari 7. Tra i contrari gli Stati Uniti di Donald Trump, e tra gli astenuti l’Italia a guida giallo-verde del presidente Giuseppe Conte e del ex Ministro leghista Gian Marco Centinaio.


Per concludere
In questo nuovo millennio l’agricoltura e tutta la filiera del cibo sono attraversate da una svolta epocale la cui direzione è incerta. Ci troviamo di fronte a un bivio con la possibilità di due direzioni opposte: cibo biotecnologico multinazionale considerato solo carburante dell’uomo (standardizzazione, tecnologie omologanti, etc.), o cibo sostenibile, nutraceutico, ricco di biodiversità, orientato al benessere dell’uomo e ad un nuovo rapporto alimentazione- salute. Lo scontro tra le due opzioni è molto forte ed assistiamo ad una lotta tra due schieramenti sempre più squilibrati per strumenti, risorse e poteri. 
Come agire per riequilibrare questo scontro? È necessario ed imprescindibile partire dal rapporto con la terra e dunque dai territori, laddove si può avere forza, contro le dinamiche globali orienta-te all’insostenibilità, perché ogni territorio va considerato “laboratorio” di sostenibilità e complessità, in cui elaborare nuovi diritti, tutelare la biodiversità e il paesaggio, garantire integrazione e parità di genere, ossia in grado di promuovere una nuova socialità. L’interconnessione di queste realtà locali può rinnovare e dare corpo e slancio a un movimento di lotta globale, che superi l’apatia della politica attuale e sia in grado di dare speranza per un futuro migliore.

“Ricominciamo dalla terra. Forse, il problema principe di questo millennio sarà come ricostituire una certa 'enciclopedia' dei saperi al fine di dare risposte concrete, serie e disinteressate alla complessità” D.Matassino 2015 .

 

Fonte articolo: InfinitiMondi 27/2023